“TAG-ALONG” E “DRAG ALONG”: DALLA “COMMON LAW” ALL’ORDINAMENTO ITALIANO

Nella mia esperienza nell’ambito del diritto commerciale internazionale m’è capitato frequentemente di imbattermi nell’applicazione e nella negoziazione delle clausole cosiddette di “tag-along” e “drag-along” (e, pure, di “bring-along”), ovvero istituti derivati dalla “common law” che hanno avuto un recente, largo impiego nella nostra pratica domestica e, anzi, sono addirittura entrati nel quadro normativo societario italiano (si pensi al modello di “Start-up Innovative” consigliato dal Ministero dello Sviluppo Economico). Si tratta di clausole che, per gli effetti sostanziali sottesi, fan sì che le decisioni operate da alcuni soci abbiano un riflesso diretto ed indefettibile nei confronti degli altri soci.

In sintesi si tratta di clausole associative “di covendita e di trascinamento” che, quando inserite nello statuto o nei patti parasociali (nel primo caso l’efficacia della clausola sarà “reale”, mentre nel secondo meramente “obbligatoria”), limitano il trasferimento delle quote di partecipazione nell’ambito di una società di capitali (anzi: le “drag-along” e le “bring-along” fanno… ben di più di ciò). I vantaggi che sono sottesi a tali clausole sono molteplici e, in definitiva, permettono una gestione più equa, coerente e – mi si permetta l’orrendo “prestito” anglofono – più market-friendly della vita di una compagine sociale nel momento in cui uno dei soci decida di vendere le proprie quote o azioni.

Passo quindi ad analizzare tali atipici “accessori contrattuali”, operando la necessaria distinzione tassonomica funzionale a descrivere, senza pretese eccessivamente esaustive, le loro principali caratteristiche.

Con l’inserimento di una clausola di “tag-along” (il phrasal verb inglese “to tag along” significa letteralmente “accodarsi”) il socio di maggioranza che intenda vendere le proprie quote o azioni ad un soggetto terzo, si obbliga a garantire l’eventuale vendita anche delle quote o azioni del socio di minoranza alle medesime condizioni. Nella pratica l’efficacia della vendita delle azioni da parte del socio di maggioranza rimane sospesa per un certo periodo di tempo (già stabilito dallo statuto o dai patti parasociali) per dare la possibilità al socio di minoranza di decidere circa l’eventuale cessione delle proprie quote. Ovviamente in capo al terzo acquirente non sorge alcun tipo di obbligo particolare (egli dovrà semplicemente stare… alla finestra ed attendere la decisione del socio di minoranza) mentre il soggetto pattiziamente vincolato è e resta il socio di maggioranza: attenzione, quindi, perché nelle trattative di vendita, pertanto, questi dovrà avere cura di fare presente al terzo eventuale acquirente dell’esistenza di questa particolare clausola di trascinamento e che la propria offerta di vendita potrebbe riguardare, nel caso in cui il socio di minoranza acconsentisse, l’intero pacchetto azionario o di quote (a parere di chi scrive, dal punto di vista dottrinario, si rientra nello schema della promessa del fatto del terzo – art. 1381 Cod. Civ. – in quanto il socio di maggioranza si obbliga nei confronti del socio di minoranza a procurargli, se del caso, un’offerta di acquisto pari a quella relativa al proprio “pacchetto” di maggioranza).

Il soggetto tutelato da questa particolare clausola, quindi, è proprio il socio di minoranza il quale è garantito di fronte ad eventuali cambiamenti della compagine sociale specialmente in quei casi in cui la partecipazione al sodalizio del socio di minoranza è dipesa, nel momento della costituzione, da scelta relative a qualità del socio di maggioranza. In parole povere: il socio “garantito” da una clausola di “tag-along” può rimanere nella società nel caso in cui il “nuovo” socio di maggioranza sia di suo gradimento, mentre può “uscirne” (e con un “indennizzo” più che soddisfacente, ovvero almeno pari a quello proporzionalmente monetizzato dal socio di maggioranza cedente) nel caso in cui il nuovo socio sia sgradito.

Come già detto, ma credo che sia opportuno un approfondimento visto che capita spesso che consulenti e commentatori non sottolineino a sufficienza questo aspetto soffermandosi invece sui soli “vantaggi” riservati al socio di minoranza, il socio di maggioranza che intenda vendere dovrà, nella pratica, aver cura di suscitare l’interesse di un eventuale cessionario disposto ad acquistare un numero di quote o azioni variabili rappresentanti la maggioranza della compagine sociale (nel caso in cui il socio di minoranza non intenda cedere le proprie quote o azioni) ovvero l’intero di essa. Sia pertanto ben chiaro che l’inserimento di una tale clausola comporta un irrigidimento del patto associativo, a tutto vantaggio del socio di minoranza il quale si vede iper-valorizzare la propria partecipazione.

Le clausole di “tag-along”, peraltro, possono valere (e qui dovrà esserci la massima attenzione al momento della redazione dello statuto o dei patti parasociali) tanto nel caso di proposta di vendita dell’intero coacervo delle quote o delle azioni detenute dal socio di maggioranza quanto nel caso in cui la proposta riguardi una frazione di esse: evidentemente quanto detto sopra vale anche nel caso di vendita “frazionata”, ma il riflesso sulle quote o azioni detenute dal socio di minoranza non può che essere “proquotizzato” (es.: il socio di maggioranza decide di vendere il 20% delle proprie azioni ad un dato prezzo, allora deve offrire al terzo eventuale acquirente e sempre in via condizionata, anche il 20% delle azioni del socio di minoranza).

A causa delle loro caratteristiche intrinseche, come detto non vi è alcuna menomazione del diritto di disposizione della proprietà in capo al socio di minoranza, ritengo che per l’inserimento e l’esclusione di tali clausole sia sufficiente una decisione presa a maggioranza.

Le clausole di “drag-along” (letteralmente “trascinare”) tutelano invece con più forza il socio di maggioranza: infatti, in questo caso, egli consegue infatti il diritto di negoziare dinanzi ai terzi la vendita dell’intero capitale sociale, quote o azioni del socio (o dei soci) di minoranza compresi; certamente il prezzo di vendita non può che essere il medesimo, così come accade per l’esecuzione di una clausola di “tag-along”.

Ecco quindi i vantaggi del socio di maggioranza sono invero piuttosto lampanti. Il beneficio del socio di minoranza è invece più sfumato e riguarda, in concreto, la sola valorizzazione delle proprie quote o azioni: infatti l’acquirente si troverebbe di fronte alla prospettiva di acquisto di un pacchetto di quote o azioni non frazionato, senza la presenza di “piccoli” (e… fastidiosi) soci di minoranza da “gestire”. In sostanza – attraverso questa clausola che a mio parere configurerebbe una vera e propria opzione “call” a favore del terzo acquirente – si attuerebbe una sorta di ecumenica propagazione del(lo) (immateriale) “premio di maggioranza”, anche a vantaggio del socio di minoranza il quale s’avvantaggerebbe del “peso” delle concrete attività del socio di maggioranza. Ma, ripeto, il vantaggio per il socio di minoranza è, in concreto, alquanto impalpabile. Tant’è che per il nostro ordinamento (non è così invece nei sistemi di common law, dove la vecchia massima che ricorda che “al mercato non si va disarmati” ha sempre un discreto successo) è possibile prevedere legittimamente l’inserimento di una clasuola di “drag-along” solo se il socio di maggioranza vende le quote ad un prezzo definito “equo” e cioè quando tale prezzo è uguale o superiore a quello che spetterebbe al socio di minoranza, come da disciplina comune (art. 2437 ter, commi 2 e 4, Cod. Civ.), in caso di recesso.

Le clausole di “bring-along”, tassonomicamente una sorta di sottospecie delle “drag-along”, pongono invece l’accento del negozio giuridico derivato sulla determinazione del terzo acquirente. Il socio di maggioranza si obbliga ad offrire la cessione del proprio pacchetto di quote od azioni potenzialmente assieme a quello del socio di minoranza, ovviamente offrendo lo stesso identico prezzo di vendita: stavolta sarà però il cessionario a decidere se acquistare il solo “pacchetto” del socio di maggioranza ovvero, in alternativa, l’intera massa di quote o azioni, senza fare distinzione tra soci di maggioranza o minoranza. Il “pallino” della partita, quindi, sarà in mano al terzo acquirente. Come nel caso delle “drag-along” il soggetto che resta alla finestra è il socio di minoranza: il suo unico beneficio, come per la clausola di “drag-along” è rappresentato da una ipotetica valorizzazione delle proprie quote o azioni.

Tanto per le “drag-along” quanto per le “bring-along”, in considerazione del fatto che in entrambe le evenienze la decisione del socio di maggioranza (oppure quella del terzo cessionario) portano a dirette conseguenze in capo al socio di minoranza senza che egli possa fare valere la propria determinazione in alcun modo, ritengo che l’inserimento e l’esclusione di tali clausole debba essere necessariamente attuata con una decisione presa all’unanimità del sodalizio.

Chiunque voglia quindi approfittare delle possibilità offerte da queste particolari clausole faccia estrema attenzione e non pecchi quindi di eccessiva sicurezza: la consulenza di un notaio o di un legale esperti della materia non può essere infatti rinunciata.

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