UN ESEMPIO DI “PRIMATO” DEL DIRITTO COMUNITARIO: L’IRRINUNCIABILITÀ DELLE FERIE, IL DIRITTO ALL’INDENNIZZO IN CASO DI MANCATA FRUIZIONE ED I SUOI LIMITI

Sono innumerevoli gli esempi del primato del diritto comunitario (o meglio: del diritto dell’Unione Europea) rispetto alla legislazione domestica dei singoli Stati Membri: a tal proposito e molto recentemente mi sono imbattuto in una questione relativa alla fruizione delle ferie da parte di una lavoratrice dipendente (si trattava del “rifiuto” della stessa ad aderire al “piano” datoriale stabilito, come di consueto, con largo anticipo). Tralasciando gli aspetti particolari della vicenda, basti dire che essa ha trovato parte della soluzione anche grazie all’attenta analisi di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Europea con la sentenza relativa al caso C-619/16, pubblicata lo scorso 6 novembre.

Tale recente pronuncia ha inequivocabilmente fissato il principio che un lavoratore non perde il diritto alle ferie per il solo fatto di non averle esplicitamente richieste, andando così ad interpretare (ed integrare) in modo chiaro e definitivo la norma di cui all’articolo 7 della Direttiva 2003/88. Come ben sa chi frequenta la materia del lavoro, tale fonte ha stabilito che tutti gli Stati Membri dovessero implementare norme che garantissero, inderogabilmente, 4 settimane di ferie annue senza la possibilità di sostituire tale periodo con l’elargizione di un’indennità di carattere finanziario. Una logica eccezione a tale principio avviene quando il rapporto di lavoro cessi per una ragione qualsiasi: la prassi vuole che il periodo di ferie maturate e non godute venga indennizzato assieme alle cosiddette “spettanze di fine rapporto”. Ma deve, per forza, sempre essere così? Possono quindi le parti (una contro l’altra, ovvero con concorde intendimento) “aggirare” questo vero e proprio obbligo di Legge al fine di “evitare” le ferie a favore di un indennizzo pecuniario?

La recentissima pronuncia in esame ci suggerisce che no, il diritto ad un indennizzo che tenga in considerazione i giorni di ferie maturati e non goduti dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro non possa essere considerato un inderogabile automatismo come, d’altro canto, ci insegna invece il più delle volte la nostra prassi nazionale. C’è infatti un caso limite da considerare, ovvero quello in cui il lavoratore non abbia effettivamente e consapevolmente esercitato il suo diritto all’astensione dal lavoro (per godere delle ferie, appunto) nonostante i provvedimenti datoriali adottati volti a rendere il diritto (annuale) alle ferie efficacemente e puntualmente fruibile da parte della massa dei propri lavoratori dipendenti. Tale lavoratore, alla cessazione del proprio rapporto di lavoro, non ha quindi maturato alcun tipo di diritto ad un indennizzo pecuniario avendo egli scientemente rinunciato all’esercizio di tale diritto. Attenzione, però, perché d’altro canto la Corte di Giustizia ci ricorda che non è sufficiente, per negare legittimamente l’indennizzo, che il lavoratore non abbia semplicemente mancato di richiedere la fruizione delle ferie: è necessario che il datore di lavoro dimostri o sia in grado di dimostrare la rinuncia (esplicita) operata dal dipendente.

Ecco quindi che l’istituto delle “ferie” può essere descritto quale un “diritto-dovere”: ciò è vero per tutte le fonti che se ne occupano, a partire dai contratti collettivi nazionali (che, ahimè, trattano il tema, in molti casi, con la solita superficialità ed imprecisione) fino ad arrivare alla fonte che – nonostante quanto sostenuto da politici evidentemente interessati alla realizzazione di un certo tipo di agenda “nazionale” o da impresentabili “giuristi della domenica” – riveste il ruolo principale almeno quando si tratta dell’applicazione dei diritti fondamentali dei lavoratori e degli imprenditori.

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